giovedì 19 maggio 2016

Suicidio


“In fatto di suicidio Eric aveva un punto di vista piuttosto personale e curioso. Nonostante il codice etico che gli imponeva la sua stessa condizione di medico, lui era convinto – e la convinzione si basava su esperienze molto concrete della sua stessa vita – che se un uomo vuole togliersi la vita ha tutto il diritto di farlo. Eric non era in grado di elaborare razionalmente una giustificazione per questo, e non aveva nemmeno cercato di costruirsene una. L’asserzione per lui, era evidente di per sé. Nulla dimostrava che la vita fosse davvero un dono. Magari lo era per qualcuno, ma ovviamente non lo era per altri.” ILLUSIONE DI POTERE (1963). L’idea del suicidio oltre ad essere una faccenda privata compare in tutta l’opera di Dick come un diritto individuale da contrapporre a un potere che vuole infiltrarsi, fin negli interstizi, in tutti i campi della vita. In FOLLIA PER SETTE CLAN (1963-4) il protagonista Chuck Rittersdorf “sentì sorgere dentro di lui, subdolo, quell’impulso familiare; la sensazione che fosse inutile continuare. Il suicidio, per quanto ne dicessero la Legge e la Chiesa, era per lui l’unica vera risposta in quel momento.” Di fronte all’intervento per impedirglielo di un extraterrestre, suo vicino di casa, il ganimediano Lord Running Clam, Chuck ribadisce che “sono affari miei se mi butto o no” , ma la muffa gelatinosa di Ganimede gli replica, citando “alla bell’e meglio” Jacob Bohème, che “nessun terrestre è un’isola”. Ma non ci sono solo i buoni extraterrestri a cercare di impedire questo delitto contro natura, anche le cose, le macchine aiutano; in GIOCATORI DI TITANO (1963) due tentati suicidi vengono sventati prima da una cassetta di medicinali, pronta a dare l’allarme, poi da un aerotaxi robotizzato. Degli innumerevoli casi di suicidio, o tentati o solo desiderati nei romanzi e racconti di Dick, il più sensazionale è quello di Gerson Pole nel racconto LE FORMICHE ELETTRICHE del 1968. Pole scopre di essere un androide e nel colmo della disperazione decide di tagliare il nastro perforato, l’alimentatore di realtà, che si trova all’interno del suo corpo ponendo così fine alla propria realtà. Ma essendo “la realtà oggettiva (…) soltanto un’astrazione sintetica derivante da una ipotetica universalizzazione di una massa di realtà soggettiva” insieme alla scomparsa di Pole anche la realtà di tutti gli altri scompare di conseguenza. La prova provata che nessun uomo è un’isola.

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